La bocca dell'anima
di Giusi Leone
ISBN: 978-88-6096-321-5
Formato: Rilegato
Genere: Narrativa
Anno: 2009 - Mese: giugno
Pagine: 108

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Sintesi

Quando il silenzio nasconde i bisogni dell’anima e il buio cancella ogni tentativo di rinascita, allora, forse, la mente comincia a vagare verso l’ignoto alla ricerca di una causa, di un pretesto, di una plausibile spiegazione che possa portare luce sui più naturali esiti della vita. Così, in quei momenti, inizia il viaggio verso la mia storia. Domande in cerca di risposte. Ricordi da assegnare ad un tempo già andato. Sensazioni e odori rivisitati dalla memoria e dal desiderio di volere, in quella realtà, tornare indietro e comprendere.

Giusi Leone nasce a Delia, cittadina dell’entroterra siculo, nel 1960. Laureatasi in Pedagogia presso la Facoltà di Magistero di Palermo, insegna per vent’anni nella Scuola Primaria di primo grado. Vive e lavora nella sua città natale, conciliando l’impegno verso le attività sociali, culturali e di volontariato, con la cura per il proprio marito e i propri figli.

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  • La recensione di "La bocca dell'anima" di Giusi Leone. La recensione sarà trasmessa all'interno de...
diego gulizia, 4  giugno  2009  00:00
La bocca dell’anima di Giusi Leone L'etimologia del termine anima, deriva da anemos cioè vento. Il vento è un elemento naturale libero di andare e venire, di muoversi in aprichi luoghi e passare attraverso i più fitti ostacoli. Fare propria l'idea che ogni essere umano possiede l'anima, equivale a dire che, l'uomo se vuole, è in grado di superare ogni contingente bisogno per essere libero, come il vento. L'opera dell'artista, nel momento in cui viene offerta al mondo, assume una vita propria, altra dall'autore e finisce col comunicare, veicolare atmosfere e messaggi intrinseci al gioco dialettico tra opera e lettore. La bocca dell'anima, la vucca di l'arma, che per Giusi Leone è "spazio ancestrale e cosmico", la sede di tutte le emozioni che hanno segnato, modellato, ricreato nel corso del tempo e nei vari luoghi, il suo essere persona e donna, diventa a mio capire la sede della sua stessa libertà. La libertà di ripercorrere nella sua opera prima "La bocca dell'anima", il suo vissuto, reale e insieme fantastico, alla ricerca ed elaborazione delle sue radici, per capirsi e capire. Un libro viaggio pervaso dalla malinconia di chi ha compreso anche se non completamente, in quanto l'ineffabilità di ciascuno rimane il vero grande mistero, il senso della vita e della propria esistenza. "Se arrivi davvero alla radice, non sarai confuso dai rami..." (Wen-Tzu), per questa grande saggezza la scrittrice ha lavorato su se stessa, ha scavato nelle pieghe del suo cuore rivivendo ed interpretando i fatti del suo più lontano passato. Attraverso le sue radici-origini, la scrittrice attribuisce un "senso a tutto ciò che da me ha avuto vita". Un trascorso a volte gioioso e birichino, tal altre violento e amaro; da siciliana verace Giusi assomiglia inevitabilmente alla sua terra e al suo destino. Il pregio più grande del romanzo è l'intensa sicilianità di cui le pagine sono pervase, sia nella descrizione dei luoghi e dei paesaggi, che nella messa in scena di personaggi tipici, maschere e simboli da tutti riconosciuti e in un certo qual senso sfaccettature della personalità e mentalità "deliana". Attraverso l'uso di espressioni e parole che rimandano ai sensi, si finisce con l'essere catturati fino a provare disgusto per quegli "odori di cucina che si univano a quelli delle bestie" in un pomeriggio afoso d'agosto. Esisteva, come particolarità dell'architettura siciliana, la stanza dello scirocco, nella quale si trovava ristoro, riparo e refrigerio, allorquando il famigerato vento di sud-est soffiava disseccando i polmoni e annebbiando la menti. Una stalla era per Giusi la sua stanza dello scirocco dove si rifugiava nei pomeriggi d'afa per scansare le pennichelle pomeridiane obbligatorie, ma anche e soprattutto, per giocare con il suo "guerriero alato", giochi puri di "una piccola farfalla" che a soli nove anni avrebbe perso, drammaticamente, l'innocenza, le ali e con esse l'ebbrezza del volo. Niente di nuovo sotto il sole, la "Paura di volare" (Erika Jang) fa parte dell'universo femminile mondiale, travalica culture, razze ed etnie. E questo dolore ha eco nelle parole amare di Giusi: "La paura, lentamente, annientava la donna che cresceva...così ho vissuto ogni attimo della mia vita, almeno fino all'età di vent'anni". Certe esperienze ti segnano profondamente e non ti è di consolazione il pensiero che non sei la sola ad averle affrontate e sempre con lo stesso dolore-stupore di chi non sospetta nemmeno l'esistenza dell'amore rubato. C'è quasi tutta la follia della terra di Sicilia, nell'opera della scrittrice Leone: l'estrema povertà, lo splendore nella miscela di colori, suoni, odori e rumori; la stupefacente ignoranza di padri-padroni e di mamme troppo spesso accomodanti e, allo stesso tempo, tenere da far tremare le viscere e la vucca di l'arma per l'intera vita, quando all'improvviso vengono a mancare in una notte che mai dimenticherai. Giusi ha saputo condurmi per mano nel labirinto della mia infanzia poiché nella sua, a tratti, mi sono specchiata e riconosciuta. Ha avuto coraggio la brillante scrittrice a ripercorrere ciò che pesa come un macigno e si incide nelle cellule del tuo essere come le orme delle ruote di carretto sulle trazzere. Ricco di modi di dire gergali, di espressioni idiomatiche ormai appartenenti al passato, il libro diventa memoria di popolo. Ho imparato a conoscere ed apprezzare Giusi come persona. Mi pare che ella con le pagine del suo libro abbia saputo rispondere positivamente alla sfida esistenziale del mettersi in gioco accogliendo il dolore come risorsa da cui trarre giovamento piuttosto che come oscura maledizione. L' amarezza di cui talvolta sembra traboccare il nostro vivere, gravido di delusioni , è la zona d' ombra che Giusi ha sperimentato e attraversato come preludio alla felicità la quale è "1'anima alla luce del sole" (Dugpa Rimpoce). Delia 08-06-2009 Antonella Lo Dato
diego gulizia, 4  giugno  2009  00:00
“Scavare dentro i propri ricordi e inseguirne il sapore rimane l’esorcismo più antico che può liberare la coscienza…” Galleno, 8 maggio 2007 Cara sorellina, dai tuoi figli emana tanta positività, basta stare un poco con loro per avere la certezza di cose belle. Lo scritto che ho letto, fatte le debite differenze, mi dà emozioni liete simili a quelle che ho pensando ai miei nipoti. Questo libro nasce da Giusi, con gestazione durata molto più di 9 mesi, e vedo in esso anche il seme di Diego. Intravedo il DNA dei genitori e ne sono contento. Non so se sarà pubblicato, ma dentro di me sento già la gelosia di dovere condividere con “estranei” cose così intimamente narrate. La stessa gelosia che si ha per le persone a cui tieni tanto, per i figli, per i nipoti. Però sono sicuro che anche esso si farà spazio nel futuro e io ne sono fiero. Questo libro porta anche qualcosa di me, di Enzo, di Vincenzina, della mamma, di papà! Una sorta di virus che ha interagito con il genoma originale o anime che si fondono insieme? Leggere queste pagine mi porta non solo nel passato temporale mio personale e dei nostri archetipi comuni, ma implode in quanto di più profondo e intimo possa esserci, in un attenta commistione fra psiche e Anima. La tua anima, la mia anima e l’anima della nostra gente. Sono partito da Delia a 18 anni e ancora adesso porto dentro di me quella sicilianità che, anche volendo, nessuno può togliermi. Quel vissuto ancestrale imposto da gravosi ruoli storici, sociali e affettivi che ancora mi caratterizzano. Quella storia fatta di fatiche e di paure commiste a gioie e piaceri di cui fanno parte oltre alle cose direttamente legate alla nostra famiglia anche l’addimuru, la brivatura di lu canali, la petra, Ruccuzzu, Liddruzzu, la za Maristella, Cuncetta la cicira, Vicinzina Caniattinisa, Ntoniu Lacara, Carminu cangiacapiddri, Iachinu e sa patri, lu bannisciu cu lu tammuru, … ecc. La lettura di queste pagine me lo ricorda con fierezza e mi rinnova l’orgoglio della mia origine. Grazie per avere “manipolato” la mia anima ed essere riuscita a portarla dove io stesso non sono stato capace. In un mondo dove essere più “furbi” e prevaricare gli altri sembra la norma, ci sono momenti nei quali sento l’esigenza di quella naturale semplicità e di quella originale genuinità che dà sollievo e pace. Spesso mi interrogo sul mio ruolo di padre, di uomo di scienza e di fede … del mio ruolo di uomo e basta. Faccio paragoni con la mia infanzia e mi riempie di gioia ricordare come e perché la mamma cantava. Quali patimenti hanno sofferto i nostri genitori per darci la possibilità di affrancarci da certi fardelli socio-culturali e psicologici, quanto gli è costata la nostra attuale realizzazione. La tua capacità nell’esprimerli così vivamente ne è la prova: tu sei riuscita a rappresentare nella protagonista il carico di quei pesi che sarebbero potuti essere nostri e che grazie allo sforzo dei nostri cari non lo sono. Ci sono momenti dove attendo un futuro vicino o lontano che mi porterà ancora un sorriso sereno sulle labbra. E’ bello scoprire che questo sorriso può venire anche dal passato che altre persone care hanno condiviso con me. Maschere, metafore, trasposizioni e rappresentazioni così grandi da fare pensare che forse quanto di così immenso è accaduto non potrà mai più accadere. Invece danno la certezza che se siamo stati capaci di vivere così intensamente, potremo farlo anche nel presente e nel futuro. Poiché ti conosco, so bene che per te Dio non è maschio, che il coraggio nei momenti difficili non ci vuole per suicidarsi ma per continuare a vivere … che le stelle non sono piccole. In questo sei stata estremamente profonda: farti portavoce del comune sentimento popolare. Mi sembra superfluo sottolineare quanto significhi per me l’identificazione della protagonista con la sofferenza del medico che vive fuori dalla sua terra e perde l’amato coniuge o quelle struggenti pagine della mamma che soffre per il figlio lontano. Ancora grazie. Abbracci Paolo
diego gulizia, 1  giugno  2009  00:00
Recensione scritta da Lina Riccobene Su "LA BOCCA DELL'ANIMA" di GIUSI LEONE: nel luogo dell'inquietudine e della dolcezza. Tutto il secolo letterario che abbiamo alle spalle è stato un tentativo di aggirare ostacoli per dire ancora qualcosa, per non ammutolire o apparire appendici sbiadite di qualcuno che un tempo brillava. Lo stesso Gozzano è stato geniale e scaltro "dissimulatore" dell'inizio del secolo scorso, poiché alla fine di una tradizione gloriosa che non poteva avere più continuazione, oppose non la rottura o l'abbassamento, ma la dissimulazione, da intendersi come dissoluzione e corrosione interna come per vivere quel poco di vita che di poeta, di scrittore, aveva da vivere, in un prolungamento fittizio, schernevole, fallace, eppure abitabile da lui e dalle sue maschere. Questa la sua grande genialità. C'è, in Giusi Leone, che si affaccia al mondo letterario in questi primi anni del terzo millennio, parte di quell'onesto dissimulare, essere e non essere quel che si dovrebbe e forse non si può più essere, vestendo abiti e maschere di verità e svestendole fino a che nel giro di quei "volti" si possa riconoscere, fulminati, il "nostro", ... e il lettore riconosce il suo. Leggo e rileggo, con accanita passione, "LA BOCCA DELL'ANIMA", di Giusi Leone; e in questa mia sostenuta ma naturale predisposizione, non solo colgo la mia partecipazione nell'entrare in un autentico labirinto di emozioni, ma trovo e mi convinco che i labirinti siano fatti per essere attraversati, per andare oltre la superficie del mondo e delle cose e coglierne la profondità. L'elemento "consapevolezza" e la componente malinconica dunque vengono accompagnati da un necessario confronto con la dimensione esistenziale di un percorso, di un camminare che è ben presto un ritrovarsi in quello "spazio ancestrale e cosmico'', in quel "punto del corpo ove convogliano le parti di quel tutto che ci compone", in quel "nucleo propulsore di segnali fisici indomiti del dolore, della gioia, della fatica, del timore, dell'attesa e dello stesso esistere", come scrive l'Autrice: la bocca dell'anima, dunque. Leggendo e scorrendo le pagine di questi flash back si prova la sensazione di ritrovare quel "qualcosa di noi" che forse s'era perso. E tuttavia è soltanto perdendo qualcosa di noi che possiamo rinnovare il conosci te stesso socratico, e soltanto predisponendosi allo smarrimento, alla viandanza, alle periferie della mente e dei mondo, possiamo avvicinarci maggiormente alla conoscenza di ciò che siamo. "LA BOCCA DELL'ANIMA", opera prima della Leone, nasce all'insegna dei ricordi, della trasparenza e trasparenza di immagini e sintassi, improntata a una scansione fortemente speculare: tutto è dichiarato, "scritto"; nessuna vaghezza allusiva, nessun sospetto simbolico. Tutto è, e si fa verità. Questa trasparenza, questa evidenza, si realizza tramite la perspicuità linguistica, il periodare breve, elegante.   Nella pagina si intrappola finemente un linguaggio quanto mai fisico, impastito di lievissime e gradevoli inflessioni dialettali, e in tale impostazione i riporti, i riferimenti, gli aforismi in "deliano", contribuiscono a trasmettere energia, vitalità alla scrittura che qui gioca con i suoni e la potenza delle parole. Non leggevo da tempo opere scritte per scartavetrare le brutture che le aggrediscono, o per ridimensionare l'amore familiare, sommesso, vitale e genuino che qui ha sostenuto e riscaldato ogni arrivo e ogni ritorno dell'Autrice, perchè è proprio nel disinteresse della bella pagina, nella onestà di voler romanzare materia respirante per esasperarla e drammatizzarla fino allo snaturamento, che il libro risulta piena espressione di uno scrivere franco che non censura e non tutela ma propone e offre. La vitalità espressiva dei "flashback" trova pienezza e vigore proprio nell'intima e sporadica adesione al dialetto natale, usato solo per far mente locale di alcune tipiche espressioni, che con sapore agrodolce regala al narrare una cadenza marcatamente viscerale. Ogni piccolo fatto narrato, ogni flashback è concentrazione di una parte di mondo in un cuneo di attenzione: l'attenzione, mai dimessa, dell'Autrice, al passato che si fa presente, che si perpetua. Una maniera esplicita di scrivere e raccontare che non rischia mai di livellare i significati, di muoversi in assenza di gravitas, ma che opta per un loro centellinato dosaggio, "per amor di chiarezza", di rigore cristallino. Quale l'impressione dopo la prima lettura? Autobiografia?...Forse, se in questa parola si cela l'essenza intima della capace narrazione, esclusivamente "riservata" quanto "spietata" nel denunciare il percorso umano di un'anima travagliatamente raminga nei meandri dei ricordi, bisognosa di fare incetta di affetti e amore, di un IO in crescita che al confine dell'infanzia e della prima adolescenza inizia, cercando fra le reminiscenze a combattere con la risolutezza, con le discutibili imposizioni a cui la vita, oltre che la natura, obbliga. E i cinque sensi pare giochino nel corpo e nella "bocca dell'anima" di Giusi Leone, costringendola a percepire anche il dolore, quasi a doverlo perpetrare come costante per l'intera sua esistenza; la vita principia con una sensazione di sofferenza; è il dolore il primitivo stimolo della natura a spingerci fuori dalla pancia, prima ancora degli sforzi maieutici della madre. Un dolore che non capiamo ma che si accompagna a noi, e in questo caso all'Autrice che afferma in pienezza la sua estrema sensibilità e che spiega l'energia della sua individualità attraverso l'energia che sprigiona dai suoi personaggi riportati dal ricordo alla pagina, una individualità esposta in prima linea, che con vigore ha combattuto ogni spigolatura della vita, come donna, come essere umano, ora come letterata.   Nell'ordine intrinseco della narrazione leggiamo brevi episodi, storie, fatti, eventi; e così si accavallano i ricordi tra attese colmate, richiami olfattivi, colori e note di paesaggi, monologhi e dialoghi serrati, pensieri ricomposti, suggestioni e paure, ansie ed emozioni, tenere effusioni materne e paterne, persone care del quartiere: tutti "sentimenti di un'infanzia scomparsa" alla quale si accompagna "la smania di riaverne il possesso" per "rimuovere ogni insicurezza e scavare nel tunnel del silenzio temporale", per "restituire all'esistenza archeologiche certezze, doni della vita, patrimonio genetico di sospirate presenze" (da "Movenze"). In "LA BOCCA DELL'ANIMA" può ritrovarsi ogni donna, e ogni donna siciliana, che vi scopre la possibilità di far riaffiorare i suoi ricordi, ricordi legati a situazioni, persone, cose, azioni, col loro valore: il canto di uccelli in gabbia in attesa che la stanchezza scemasse la rabbia e lenisse i sentori dell'impotenza, della prigionia; la numerosa prole frutto di uomini accaniti a spargere germe di progenie mascolina; padri-padroni e tenera carne di infanti ribelli impregnata di dolore di cinghia battuta; le urla e le imprecazioni del padre e il suo decidere da solo se e quando possedere la madre alla quale, a modo suo, portava rispetto; la nonna, che conosceva bene il dolore e la cattiveria che scaturiscono dalla certezza di essere viva, sì, e non potere vivere la propria vita; la madre, che lascia il suo corpo improvvisamente, nel silenzio del buio, nel caldo assillante di un'ingrata notte di giugno; ragazzini svolazzanti per l'aperta campagna, tra steli irti e vegeti, e per costruire una fattispecie di piffero/zampogna da accompagnare a tiritere nostrane e filastrocche; un gioco, il montare in groppa a "Giulia", la mula del giovane e forte contadino, un gioco finito in uno "scippo" dell'innocenza, nel suo aprire gli occhi alla nefandezza dell'uomo ladro lasciando ferita l'anima di bimba che acquisiva la consapevolezza di non potersi più fidare di alcuno, e rimanere "per sempre" la bimba smarrita nella stalla; la pezza nera su una porta a indicare di grande lutto quella dimora; l'"uomo nero", che tale rimane nella pelle e nell'anima, sempre menzionato dagli adulti per incutere timore ai bambini più vivaci; la cattura degli uccelletti di "primo volo" stimolati ad abbandonare i loro nidi, tra le mura delle case, da rudimentali canne con sulla cima una fitta rete recuperata dall'ultimo etto di mortadella affettata; il tintinnio del campanello di "Iachinu" e suo padre, fotografi del tempo, maghi della riproduzione scenografica e procrastinatori dell'estinzione dei ricordi, come scrive l'Autrice, attraverso quelle immagini fissate e che da sempre descrivono l'esistenza, in questo mondo, di qualcuno; i cortili animati di frenesia per l'occasione di una foto, ... e cuntri e tuvagli di ciniglia appese ai fili di bucato a fare da sfondo a quei gruppi di famiglia in posa, tesi e dritti, fieri e in pompa a fissare dentro lo scrigno misterioso che avrebbe generato il ricordo.   E ancora: la dannazione che nasceva dall'afa a indurre vecchi e bambini a rincorrere la "curriola" che trasportava quel grosso blocco di ghiaccio divulgatore di conforto; l'Angelo Custode, da ringraziare ogni sera e allietare con gratitudine, come presenza invisibile e costante che accompagna la sensazione dell'eterna infanzia; i padri a compiacersi della boria dei loro maschi e delle loro mascherate prodezze, mentre i piccoli, giocando a "mucciareddra" e a ‘ngagliarè", dovevano guardare bene di non mischiare la loro vita anche nel gioco, perchè "li masculi stannu ccu li masculi e li fìmmini ccu li fìmmini". E ancora: la punizione di dovere andare all'inferno in eterno, dopo una malefatta, a tormentare le notti dei bimbi e, al contempo, catene che obbligavano ad una schiavitù amorevole e intrisa di sogni che assoggettavano a lagnanze e recriminazioni, a "curtigliarate" che vedevano le madri mischiate in litigi di prole. Le lontane percezioni, infine, a cui l'Autrice, ormai "stonata dagli influssi della vecchiaia" (originale il dichiararsi avanti negli anni, per garantire continuità al lavoro di scavo nello scrigno della memoria, pur essendo ancora fresca di gioventù) si aggrappa per tentare di spiegarsi quello strano senso d'afflizione che invade la sua anima e la conduce ancora in sentieri faticosi e sfibranti per la sua mente ormai stanca di vagare. Un'estensione di tempo, di rimembrate saggezze e santità, tutto il libro, dove trova spazio tutta la commozione che Giusi Leone ha portato e porta nella sua bocca dell'anima che è "campana di chiesa e porta del nostro inferno", come le narrò suo nonno. Una donna, una scrittrice sapiente la Leone che, come scrive Elisabetta Rasy, nella tradizione, lacerata, ella paga con un'esistenza spezzata il coraggio di sottrarsi al silenzio e al divieto di scrivere che ha sempre segnato la storia collettiva cui appartiene, nonostante un pullulare di scrittrici in Sicilia. La donna che scrive in Sicilia, forse vive ancora un rapporto conflittuale vita-letteratura, poiché antepone spesso al suo impegno culturale il suo ruolo nella famiglia. Ma Giusi rompe con questa realtà e sceglie la torre d'avorio della scrittura per naufragi e approdi, tempeste e schiarite, progetti di esistere e desiderio di riemergere e allo stesso tempo rifugio nel mistero di una parola che le consente di divenire "persona umana" con diritto di cittadinanza nel mondo della cultura (che poi, per svariati motivi, è stato sempre un mondo da lei frequentato). E Giusi Leone ha scritto "LA BOCCA DELL'ANIMA" con la responsabilità della donna scrittrice e narratrice: la responsabilità di fare emergere un "animus novus" che non può più avere nulla a che vedere con le storie caramellose "dei buoni sentimenti", o descrittive, affettuose, amorose, o nostalgiche e corrispondenti al mito della donna pseudo-femminile.   E' qui, tra queste pagine, che si coglie la diversità profonda della scrittura di oggi con quella di ieri. Ciò mi riporta ancora più vera Marina Cvetaèva quando diceva che "nell'arte non esiste la questione femminile: esistono risposte femminili a domande umane". E non solo "La bocca dell'anima" di Giusi Leone è un libro che gli uomini dovrebbero leggere per capire e meglio compenetrare l'universo-donna e che uomo e donna sono "percorso verso le stelle", anelito appassionato eppur pieno di sgomento, a trascendere ogni banale opacità del reale, in un ritorno alle origini prima dell'essere e del sentire. Luogo dell'inquietudine, ma anche di tanta dolcezza, "La bocca dell'anima" di questa eccellente Autrice apre ad un'identità inafferrabile, e al contempo "conosciuta dalla notte dei tempi", dalle parole e dai loro sensi espliciti. Dentro l'andamento ritmico dei costrutto narrativo si dischiude come un percorso di ricomposizione del logos che qui oltrepassa i limiti del linguaggio. Vissuti palpitanti si sottraggono alla legge del tempo inesorabilmente distruttivo e nel silenzio ascoltano pulsioni inarrestabili che cercano uno spazio, una voce. Lo stile scritturale della Leone segue il ritmo cinestetico del corpo regolato dalle pulsioni e segna la voce di impercettibili variazioni cromatiche e ritmiche. Questo ritmo diviene voce-grido, voce-canto, voce che eccede il logos, voce che non vuole dire nell'ordine del discorso e voce che fa parlare il silenzio imposto dall'etica, dalla morale, dal giudizio, dalla sapienzialità. Voce femminile. ...Voce che dice dell'alterità, che dice della differenza che si fa spazio nel simbolico, saggiando i luoghi del tempo in un sommovimento che non riesce a soffocare il clamore di quel silenzio che non trova e non troverà mai pace. Perché reclama tenerezze l'Autrice, e Amore. Ogni frase, ogni espressione, ogni ricordo rubato al silenzio del Tempo è ricchezza inconfutabile per tutti; e questo libro, che pure mi ha riportato alla mia adolescenza, mi da', tra l'altro, l'emozione di un'esperienza inedita. Che bella trasgressione un libro scritto da una donna! E se, in verità, il maschio teme la trasgressione femminile - discreta, silenziosa, ma continua e vincente - l'uomo non può che gioirne perché potrà ascoltare le frasi nuove di una sensibilità repressa con la forza e con le sue leggi ai confini della storia di un popolo e dei suoi costumi. Mi piacerebbe concludere queste mie considerazioni con una domanda tante volte formulata e sempre senza risposta: arriveremo prima o poi ad accettare che nella scrittura delle donne lo "specifico femminile" debba essere considerato un "in più"? Quel che è certo è che "LA BOCCA DELL'ANIMA" esprime in felice sintesi stilistica e narrativa una sensibilità moderna, in cui l'eterno tema del senso della vita eleva a significazione universale le vicende individuali.   Un pretestuoso NOSTOS, questo libro, ai luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza, un affondo memoriale nella saggezza di chi lo ha scritto, che è poi modalità stessa della scrittura: quella autentica! Aprile 2007
diego gulizia, 3  giugno  2009  00:00
E’ stata una gioia immensa ricevere i libri a casa. Grande emozione e ottundimento alla nascita di questo figlio letterario! Forse non ho ancora realizzato… ma sento grande dentro un tremore che scuote la mia bocca dell’anima. Grazie. Giusi Leone
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